Umberto Eco e Gelindo

Umberto Eco e Gelindo

Nella storia del Gelindo di Alessandria molte sono le figure a cui dobbiamo la memoria; La divota cumedia dell’Alessandrino è quella che ci narra la nascita del divin bambino sì, ma anche quella che ci fa sorridere con ilarità ed un pizzico di amarezza quando commentiamo insieme i fatti di cronaca locale e nazionale nella businà. Doveroso è quindi ricordare le persone che fanno parte di questo colorito quadro: uno di essi è stato sicuramente Umberto Eco. La sua fama di professore, semiologo, letterario e amante dell’arte, in particolare delle arti visive e dello spettacolo come denuncia il ruolo centrale avuto negli anni ‘70 in Italia al nascere del DAMS (discipline, arti, musica e spettacolo) all’Università di Bologna, lo precede. 

Molti però non sanno forse che egli affonda le sue radici nel clima della provincia, ma anche e soprattutto nella vita di comunità, qui nell’Associazione S. Francesco. Da bambino aveva conosciuto il Gelindo osservandolo dalle spalle del padre che lo portava alle rappresentazioni in un teatro ancora antico, dove spesso le persone si dovevano portare le sedie da casa per poter assistere: eccolo il giovane appassionato di studi classici che comincia a frequentare gli spazi di Via S. Francesco. Proprio lui racconta in alcuni articoli di come la relazione con le attività associative siano state fondanti, dove fece le sue prime prove di autore e attore della filodrammatica; nel primo dopoguerra è uno dei principali autori di rappresentazioni goliardico-studentesche, in forma di teatro di rivista, che gli faranno anche poi scrivere: “il teatro San Francesco è Broadway”. 

Forse che questi spazi, l’aria di teatro, le relazioni con i pari della Vita Giovanile (ndr periodico giornalino creato dai giovani della sopracitata Associazione) e perché no anche i nostri burberi pastori del Gelindo, siano stati così fondamentali nel cammino artistico? Egli stesso nella prefazione del libro commemorativo del 75esimo anniversario della commedia alessandrina, ci racconta il percorso tortuoso nella scelta dei ruoli da poter ricoprire.

Il limite principale alla sua occasione di ribalta era infatti il dialetto alessandrino: seppur egli lo capisse a meraviglia non aveva, a suo dire, lo slancio di parlarlo fluentemente così come lo richiedono i ruoli dei pastori. Ciò che rimase per una serie di infausti eventi era il ruolo della Madonna: al tempo, esso non era spazio di giovani donne e non aveva battute, ella si mostrava solo di profilo coperta da un azzurro velo, tanto che se ne poteva intravedere al massimo la punta del naso. Come egli stesso sottolineò “fare la Madonna era uno strazio, nessuno la voleva fare poiché era ruolo filodrammaticamente nullo e se lo andavi a raccontare in giro poi ti ridevano dietro”

Ci racconta infatti che non esisteva un vero e proprio criterio per scegliere chi avrebbe ricoperto quel ruolo: tutto accadeva pochi minuti prima di salire sul palco, con una sorta di “caccia all’attore”; qualche malcapitato per amor di Dio, o forse mosso da uno straziante spirito di sacrificio, veniva lanciato ad avventurarsi in quei candidi panni. In un’intervista per La Stampa nel 2001, Eco confessa che però la sua accettazione del ruolo di Maria era per spirito di collaborazione e soprattutto per stare lungo tutta la durata della commedia dietro alla quinte di scena, “cosa che perfino a Broadway era concessa solo al finanziatore e amante della soubrette. 

Per la vanità di stare sulla plancia di comando, e dunque dalla parte del Potere Manipolatore, dunque io facevo la Madonna – segno che quel sacrificio non mi candidava al Paradiso bensì all’Inferno. Forse per questo sono diventato poi professore, giornalista, scrittore: per stare dalla parte di chi il messaggio lo produceva”

Queste sue dichiarazioni ci aiutano a dire che sì per noi esiste un binomio vincente che il corollario della realtà Gelindiana tutta, della sua storia e del suo stare in relazione con la comunità Alessandrina, abbia in parte contribuito per Eco e non solo, alla fioritura preziosa della passione per il teater. Forse è un ragionamento audace ma ben riuscito se possiamo anche usarlo per riflettere su un importante dilemma che sul finire degli anni ’90 si poneva preoccupato proprio Eco: “che fine faranno gli attori ma anche gli spettatori?”

L’analisi della questione prendeva le mosse dalla realtà sociale, politica e culturale sempre più velocemente in cambiamento, oltre al dilemma linguistico della quasi certa perdita del dialetto. Noi rispondiamo al caro Umberto che sì resistiamo ancora e finalmente siamo diventati adulti. 

Il nostro segreto di longevità è un mistero, anche se quasi sicuramente è parte di un insegnamento della cara famiglia dei pastori: tenendo sempre accesa la fiamma del loro focolare è sempre pronta ad accogliere e tendere la mano al prossimo, perché “era (ed è) ogni rappresentazione – Gelindo – sentirsi parte del rito natalizio, e figli tutti di una tradizione”.

Copyright © 2024 by Associazione San Francesco, All rights reserved.